Stiamo attraversando un’epoca di frenetica trasformazione, dove i ritmi della vita sono cadenzati da una tecnologia “viva” e in continua evoluzione che porta alla produzione e gestione di in un’incommensurabile mole di dati. Tutto ciò è possibile grazie alla disponibilità di metodi e tecnologie che realizzano i sistemi di trasmissione, ricezione ed elaborazione di informazioni: in una parola, grazie all’ICT (Information and Communications Technology). Nonostante questa continua trasformazione sia sempre più evidente, moltissime imprese del nostro paese sembrano ancora considerare il comparto ICT un costo accessorio anziché un investimento indispensabile e il fatturato dedicatogli è tra i più bassi in Europa.
Buona cosa la tecnologia…ma lasciamola agli altri
Diversi studi hanno cercato di mettere in evidenza e spiegare i motivi di questo atteggiamento. Pur riconoscendo nella stragrande maggioranza dei casi la rilevanza dell’innovazione digitale, in realtà gli investimenti in tecnologie e servizi ICT risulta piuttosto esiguo. La verità è che se da un lato il titolare, o chi per esso, della piccola, media o grande azienda ha la convinzione di risparmiare denaro non investendo in ICT, dall’altro si verifica proprio un costo. Secondo uno studio intrapreso da Censuswide per conto di Sharp sull’uso della tecnologia in ufficio -che ha preso in analisi un campione di 6045 impiegati in nove Paesi europei tra cui l’Italia- le inefficienze e inadeguatezze tecnologiche costano 19 giorni di lavoro l’anno, con una caduta della produttività e della soddisfazione di lavoratori e utenti e una spesa importante per aziende pubbliche e private. I risultati quantificano sia il ritardo culturale di molti impiegati che stentano a utilizzare le nuove tecnologie, sia il ritardo tecnologico e organizzativo di numerose ditte ostinate a impiegare dispositivi obsoleti e procedure antiquate.
Per riportare un po’ di dati, è stata calcolata una perdita di tempo media giornaliera di 22 minuti cercando files sul server, 6 minuti in attesa che la stampante si riscaldi, 9 minuti aspettando che i documenti vadano in stampa, 8 minuti attendendo l’avvio della strumentazione audio-video, 13 minuti per aiutare i vicini di scrivania a usare “semplici” programmi come Power Point e Word.
La situazione italiana
Le risposte ottenute dagli intervistati del nostro paese hanno confermato la tendenza descritta in precedenza, ma c’è di più! Nel 53% dei casi i dipendenti hanno risposto d’adoperare al lavoro dispositivi privati, più facili da utilizzare rispetto a quelli obsoleti forniti in ufficio. Come giustificare questa tendenza? Di sicuro uno dei motivi va ricercato nella presenza sul territorio nazionale di un numero elevatissimo -ben il 98%- di micro, piccole e medie imprese. Se da un lato queste piccole dimensioni sono positivamente un segnale di elasticità e flessibilità, dall’altro condizionano la spinta propulsiva verso l’innovazione. Gli imprenditori che dovrebbero progettare e attuare questi processi sono spesso soli, devono guidare l’azienda e al contempo lavorarci. Per non parlare del fattore culturale-anagrafico: in Italia la classe imprenditoriale medio-piccola e artigiana sta invecchiando. Le aziende “storiche” non innovano, o lo fanno in misura ridotta, perché chi le guida pensa all’immediato futuro personale della pensione piuttosto che a quello strategico della ditta.
Pertanto sarebbe già buona cosa se gli imprenditori nostrani iniziassero col porsi la domanda “ICT: costo o investimento?”.